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La Rivista "EX" intervista la Dott.ssa M.R.Gamberini

La Rivista "EX" intervista la Dott.ssa M.R. Gamberini

Il Centro di Cura di Ferrara, le difficoltà che si riscontrano, la terapia genica, le terapie personalizzate, le attività dell'Associazione: questi ed altri argomenti sono stati discussi ed esaminati tra la Dott.ssa Gamberini, il Dott. Mancino, Valentino Orlandi ed il giornalista della Rivista "EX". Trovate l'intera intervista qui di seguito oppure cliccando il link riportato in fondo alla pagina

L'articolo è di proprietà della Rivista "EX".

INTERVISTA ALLA DOTTORESSA RITA GAMBERINI

21 Luglio 2020

Il 14 luglio, finalmente liberi dai “lacci” del coronavirus, ci siamo recati al Centro per la cura della talassemia di Ferrara all’ospedale di Cona, in compagnia del nostro direttore medico dott. Mancino e del presidente dell’associazione ferrarese Valentino Orlandi.

L’obiettivo che rappresenta ormai una tappa obbligata per il nostro giornale, era cercare di fare il punto sulla cura e sulla vita dei talassemici oggi in Italia, dopo il fiume di notizie ricevute e pubblicate in questi ultimi tempi.

E’ stato una sorta di mini-convegno a quattro durante il quale abbiamo rivolto e ci siamo rivolti alcune domande sul tema del futuro di questo Centro di cura della talassemia che ha rappresentato da sempre un’eccellenza nel nostro Paese e nel mondo, ora diretto dalla dottoressa Rita Gamberini.

Più che una intervista è stato un colloquio fuori dagli schemi tradizionali durante il quale ci ha raccontato e descritto le difficoltà rappresentate soprattutto dalla carenza di personale medico e dagli orari proibitivi di lavoro ma con buone prospettivs future.

Forse però le cose stanno cambiando, soprattutto grazie alla presenza ed alla attività dell’Associazione dei pazienti.

m. b.

Dott.ssa Gamberini, si sente sempre più spesso parlare di terapia personalizzata, terapia genica e questo è stato discusso anche nel congresso American Society of Hematology a fine dell’anno scorso (vedere EX di maggio 2019 alle pagine 10, 11 e 14 – N.d.R.).
Significa che andremo verso un futuro dove il talassemico potrebbe essere sempre meno dipendente dalle trasfusioni?
“Esiste certamente un obiettivo primario e cioé quello di liberarlo sempre più dalla dipendenza dalle trasfusioni, dalla terapia chelante e quindi di alleggerire il carico terapeutico tradizionale.
Parlare apertamente di terapia personalizzata vuol dire ottenere questi obiettivi attraverso le terapie migliori o più efficaci per quel paziente quindi vuol dire scegliere tra le varie opzioni possibili quelle che sono più efficaci, le meno dannose, le più adatte per quella determinata persona.
Quindi personalizzare vuol dire questo, usare gli strumenti terapeutici di cui il talassemico ha bisogno, per migliorare sempre di più la sua spettanza e la sua qualità di vita”.

In questo momento quindi, viste le premesse, com’è la vita del talassemico oggi?
(Questa risposta della dottoressa Gamberini, pronunciata come battura rispecchia in qualche modo una situazione che riprenderemo in seguito nell’intervista – N.d.R.)

“A volte penso che il paziente talassemico per molti aspetti viva meglio di me, se vogliamo fare un confronto tra medico e paziente.
Ci sono degli aspetti, ma questa è una mia scelta, che se devo confrontare il livello della mia vita sociale e dei rapporti di soddisfazione nella vita interpersonale, nei rapporti affettivi, penso che molti di loro mi superano di gran lunga.

Dal punto di vista fisico magari io sto meglio di loro però alla fine il risultato e la qualità di vita di una persona, io credo di averla peggio della loro.
A parte la battuta facile, la vita di un paziente talassemico è attualmente legata molto alle terapie tradizionali, quindi la terapia chelante, la terapia trasfusionale, le altre terapie sostitutive rappresentano ancora una percentuale elevata, essenziale per loro.

Mi rendo conto della risposta non proprio ortodossa e chiarisco che naturalmente il mio sfogo è legato al fatto che l’impegno totale che noi medici dedichiamo ai pazienti non viene sempre supportato e quindi facilitato da coloro che sono preposti al miglioramento delle strutture”.

Se togliamo la piccola quota di pazienti che nel corso di questi anni ha fatto il trapianto di midollo ed è guarito, adesso quali sono le terapie che possono cambiare la vita del paziente?

“Certamente la terapia genica e la terapia con un farmaco che abbiamo sperimentato e stiamo aspettando che venga messo in commercio dall’AIFA (L’Associazione Italiana del Farmaco) e che venga in posto in utilizzo e che ha l’effetto di poter ridurre il numero delle trasfusioni.

Per alcuni pazienti con forme lievi potrà anche abolire la necessità delle trasfusioni.
Dopo di che abbiamo la terapia genica trasfusionale di cui stiamo aspettando, sempre da parte dell’AIFA delle disposizioni per poterla utilizzare in Italia”.

Che cosa intendiamo oggi quando parliamo di terapia genica?
“Quella di tipo correttivo.
Del vettore che è stato messo a punto dalla Blu Bird in questo momento.

Penso sia l’unica terapia genica in commercio per la talassemia, in senso che è disponibile e che può essere dispensata per la talassemia.
Altri tipi di trattamento sono di tipo sperimentale comprese anche le nuove terapie di editing genetico cioè non le additive ma le correttive del difetto genetico o comunque che vanno a distorcere il messaggio genetico.

So che è coinvolta anche l’Italia in un progetto sperimentale di fase 2 di editing genetico che ha come obiettivo quello di andare ad incrementare l’emoglobina fetale.

In questo caso non si va a fare un editing del gene beta ma si va ad agire sui fattori che correggono i livelli di emoglobina fetale e si va ad indurre un incremento della stessa distruggendo particolari zone, piccolissime ma centrate ed individuate sui cromosomi”.

Abbiamo affrontato due argomenti di vitale interesse, e cerchiamo di tornare con i piedi per terra o meglio con i piedi nel suo posto di lavoro.
Com’è organizzato attualmente il Centro di Ferrara? Glielo chiediamo perchè in apertura ha espresso una forte critica sull’attenzione che viene rivolta a questo Centro di eccellenza.

“Innanzitutto devo dire che l’eredità che mi è stata lasciata dal prof. Vullo prima e dal dott. De Sanctis poi, pur essendo per me che ho preso il loro posto, gratificante, è stata anche altrettanto pesante, soprattutto perché continuo ad essere sola senza che ci sia stata una volontà politica da parte dell’amministrazione di rendersi conto finalmente che questo è un Centro importante a livello mondiale perché segue centinaia di pazienti, che ha sempre fatto e continua a fare ricerca, soprattutto ha fatto scuola nel nostro Paese.

Abbiamo 250 pazienti che sono in presenza stabile in più tutte le richieste di consulenze esterne che non sono in grado di quantificare ma sono presenze giornaliere che naturalmente ci impegnano pesantemente e che non possiamo rifiutare.

C’è comunque come novità una presa di coscienza, dai numeri che presentiamo ed anche una volontà di migliorare da parte dell’attuale amministrazione ma è un processo lento che non ci facilita nello svolgimento del nostro lavoro.

Certo è stata riconosciuta dalla nuova Direzione generale la necessità di avere due nuovi medici per ottenere una propria indipendenza dal punto di vista strutturale ed amministrativo ed è stato finalmente deciso che ci devono essere obbligatoriamente due medici a tempo pieno e non dipendenti dalle guardie di reparto.

In una struttura come questa per lavorare al meglio facendo anche ricerca come ci viene richiesto e come facciamo da decine di anni.
Ci vogliono quindi tre medici a tempo pieno e due biologi per il lavoro di ricerca.
Abbiamo comunque sempre il pericolo incombente delle “vocazioni” perché un medico che viene qui se non trova la possibilità di essere inserito in un organico adeguato rivolge la sua attenzione da altre parti.

Le prospettive positive che abbiamo ed i risultati ottenuti sono legati soprattutto al grande ruolo che svolge l’associazione alla quale devo rivolgere un grande grazie perché mi alleggerisce da un compito che non deve essere il mio ed è quello di dialogare a volte anche pesantemente con l’amministrazione per ottenere ciò che si chiede”.

Con la presenza di Valentino Orlandi presidente dell’associazione ALT di Ferrara, chiediamo a lui di spiegarci l’attività dell’associazione stessa all’interno del Centro.

“Facendo riferimento all’argomento del miglioramento del Centro in fatto di presenza di medici, – ha affermato — in seguito ad una lettera scritta dalla dottoressa Gamberini nella quale faceva alcune richieste per lavorare al meglio, noi siamo intervenuti con la nuova dirigenza specificando le richieste.

A questo punto abbiamo ottenuto una dottoressa internista, c’è poi un medico trasfusionista ed un’aiuto che sarà di fianco alla dottoressa Gamberini, sei infermieri, una capo sala ed una giovane borsista sostenuta dalla Associazione ALT di Ferrara.

I medici che affiancano la dottoressa Gamberini sono la dottoressa Mari, la dottoressa Bruzzese la dottoressa Lunghi ed il dott. Lodi.
Inoltre entrerà nello staff fra breve la dottoressa Tiseo. Abbiamo inoltre due cardiologi che fanno consulenza e giovani specializzandi che fanno tirocinio.
Poi, finalmente, anche una segreteria con una case manager che segue tutte le pratiche burocratiche ed organizzative. Abbiamo ottenuto anche una camera-studio ambulatorio così i farmaci ci vengono consegnati al DHT senza fare lunghe code alla farmacia ospedaliera.
Abbiamo anche ottenuto al un nuovo elettrocardiografo, e l’ingresso gli spazi ed i locali sono perfetti e garantiscono la riservatezza del paziente.
Abbiamo anche e non è poco, nove posti dedicati alle nostre auto. e da inizio anno sono stati installatieper macchine distributrici di bevande calde e fredde, caffè e snack”.

Dottoressa Gamberini, cambiamo argomento ricordandole, anche se non ce n’é bisogno, che oggi esiste in Italia un fenomeno sviluppato con le emigrazioni soprattutto dall’Africa ed è la drepanocitosi, certamente già conosciuta e curata.

Ma Ferrara come si è attrezzata per seguire questi pazienti in numero sempre maggiore?

“Offriamo la stessa assistenza che viene offerta ai talassemici. L’accoglienza inizia con l’età pediatrica e con la capacità di fare le diagnostiche specifiche come l’eco-dopler, trasfusioni con lo scambio eritocitario in alternativa alle trasfusioni tradizionali. Abbiamo anche il reparto pediatrico con possibilità di ricovero e quindi un’assistenza di tipo ordinario e non espressamente specifico.

Possiamo seguire così i casi meno gravi con la possibilità di trattarli all’interno del Day hospital.
Naturalmente anche por loro ci sono a disposizione le varie specializzazioni come il radiologo, e l’oculista.

Abbiamo noi stessi la possibilità di estendere le conoscenze attraverso il continuo confronto di questi casi a volte molto complessi, soprattutto per quanto riguarda anche il rapporto con i pazienti e le famiglie che spesso diventa problematico soprattutto perché provengono da nazioni lontane ed hanno lingue e soprattutto tradizioni che a volte non collimano con la caratteristica della malattia stessa.

La cosa più difficoltosa e preoccupante è anche quella che spesso spariscono e non riesci più a rintracciarli, soprattutto perché ci vengono inopinatamente sottratti i bambini”.

A proposito di drepanocitosi e di nuove cure.
Che cos’è il CRISPR?
“È un anticorpo che è anti e cioè che va ad impedire il legame fra le cellule e quindi riduce la possibilità di aggregazione e di attacco dei globuli rossi alla superficie dei vasi. Quindi è un farmaco che riduce le crisi vaso occlusive”.

Impedisce la falcizzazione dei globuli rossi?
“No, non agisce sulla falcizzazione ma agisce sul meccanismo di adesione, quindi sull’adesione delle cellule sulle pareti vascolari”.

Il dott. Mancino, da medico dei tampi del prof. Vullo che andava a Ferrara a fare corsi di aggiornamento affronta l’argomento del Centro Hub riconosciuto in Regione al Centro di Ferrara.

Un aspetto importantissimo è la presenza degli specializzandi perché significa trasmettere alle nuove generazioni quello di cui abbiamo bisogno.
Io sto vedendo ad esempio che nel mondo dell’emofilia c’è poca partecipazione dei giovani medici verso una specializzazione poco gratificante a livello professionale. Come è la situazione attuale qui a Ferrara?

“Prima gli specializzandi venivano quando c’era, nell’ambito della scuola di specialità, una persona che lo dirigeva e che fosse importante venire alla talassemia.
Quindi loro facevano esattamente quello che il capo gli diceva. Adesso se gli specializzandi non vengono è perché chi c’è attualmente nella pediatria non percepisce l’importanza di questo tipo di formazione, la gente che viene può avere degli atteggiamenti e degli impatti diversi, chiaramente non a tutti piace questo tipo di lavoro ma c’è anche chi se ne innamora come è capitato a me quando ero giovane.

Questo è importante per il reclutamento di forze e anche di giovani medici che in un futuro si occuperanno di talassemia”.

Dottoressa Gamberini ci può descrivere quali sono le motivazioni che le fanno continuare questa attività dopo 30 anni di lavoro con lo stesso entusiasmo e la stessa dedizione?
“La motivazione principale è che mi piace il lavoro che faccio con cui identifico il mio ruolo sociale in questo.
Probabilmente io sono una di quelle persone in cui il lavoro rappresenta il 90% della propria esistenza per cui senza il lavoro non sono quasi più nulla o comunque devo reinventarmi.
Cosa mi piace del mio lavoro?
Mi piace la routine di contatto con il paziente, trovo che sia molto importante parlare con loro, capire cosa succede, rivedere la loro cartella clinica, parlare un po’ della loro vita al di fuori dell’ospedale.
Oltre al contatto con il paziente mi piace anche la parte clinica di ricerca cioè quello di vedere cose nuove, capire cose nuove, dare spiegazioni a quello che succede, trovare delle cure nuove”.

Valentino Orlandi, per i pazienti cosa rappresenta la dott.ssa Rita Gamberini?
“E’, fortunatamente per noi, la persona giusta che ha preso in mano una nave costruita e diretta da comandanti molto importanti, ma lei non ha fatto sentire la loro mancanza perché credo che la componente importante, quella del rapporto umano, non sia cambiata, anzi, forse, senza voler sminuire i suoi predecessori, è decisamente migliorata.

Credo abbia capito due cose importanti e per questo si sente tranquilla nonostante gli impegni: dove non arriva lei c’è qualcuno che la può aiutare perché l’apprezza e la stima incondizionatamente.

Non ha mai lesinato esami.
Ha una risposta per tutti.
E’ una ricercatrice ma non tralascia la clinica e il quotidiano.
E’ la persona giusta che ha deciso di proseguire ed ha capito una cosa importante, che avrà la possibilità in un futuro molto vicino, il compito di formare nuovi medici”.

 

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